Oramai la condivisione è diventata il pane quotidiano della nuova generazione digitale. Si condivide tanto sui social ma non sappiamo più mostrarci, aprirci all’altro. Sempre più spesso si sente dire che i giovani, ma a dire il vero non solo giovani, non comunicano più con le persone che hanno accanto ed utilizzano canali come Facebook, Instagram, Twitter, per esprimere il proprio malessere. Malessere che, tuttavia, può non essere riconosciuto e quindi sostenuto, da chi interagisce con il post, con la foto, con il tweet, che è stato condiviso. Ma cosa si fa davvero per aiutare queste persone? La psicologia moderna sta facendo passi avanti in questa direzione: l’idea e che non debbano essere le persone, che si trovano a vivere una fase difficile, adattarsi allo stile dello psicologo, ma deve essere lo psicologo ad andare verso la persona. Ecco quindi, che nascono applicazioni che sostituiscono il classico divano del terapeuta, si impara a comunicare via chat con gli adolescenti. Lo psicologo deve scendere In campo e andare verso chi ne ha bisogno utilizzando il canale preferito dalla persona. I bisogni psicologici, le sofferenze e le richieste di aiuto cambiano con il cambiare della vita. Di pari passo devono cambiare le metodologie per affrontare l’ansia, la depressione, la solitudine, isolamento e tutte le sofferenze emotive che sono frutto di questi tempi.
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