Ogni tipo di comunicazione può essere definita da un aspetto di contenuto relativo ai dati da trasmettere, è un aspetto di relazione, relativo al modo in cui tali dati vengono trasmessi. Il concetto di comunicazione comporta la presenza di un interazione tra soggetti diversi: si tratta in altri termini di un’attività che presuppone un certo grado di cooperazione.
Tutto il comportamento e non solo il discorso e comunicazione. Inoltre la concezione interattiva della comunicazione implica che l’attenzione non si è rivolta solo agli effetti sul ricevente, ma anche gli effetti che la reazione
di quest’ultima ha sul trasmettitore. Watzlawick, Beavin e Jeckson definiscono alcuni assiomi fondamentali della pragmatica della comunicazione: “Non si può non comunicare”: non esiste qualcosa che non sia un non-comportamento. L’attività o l’inattività, il silenzio o le parole, hanno tutti un valore di messaggio. Questo implica che la comunicazione sia tale anche quando non intenzionale, conscia o efficace.
La natura di una relazione dipende dalla punteggiatura delle sequenze di
comunicazione, che sono dei modelli di scambio o punteggiatura delle
sequenze, in modo che uno o l’altro risulti avere l’iniziativa o l’ascendente.
Vi sono due moduli di comunicazione per gli essere umani: uno numerico, che sfrutta le parole e quindi i nomi che convenzionalmente
diamo alle cose, e uno analogico, cioè il riferimento agli oggetti mediante le immagini, ossia con ogni messo di comunicazione non verbale, in tale comunicazione analogica rientrale la cinesica, i gesti, le espressioni del
volto, la prossemica, le inflessioni della voce, il ritmo e la cadenza delle parole. L’uomo si trova nella necessità di dover combinare questi due linguaggi, di dover costantemente passare dalla traduzione dell’uno all’altro: questo diventa fonte di difficoltà e di creazione di ambiguità.

Psicologa roma Via Pinerolo 22

Tutti gli scambi di comunicazione sono classificabili come simmetrici o come complementari, a seconda che siano fondati sulla ricerca di eguaglianza o sulla differenza. Si ha una relazione simmetrica basata sull’uguaglianza quando il comportamento di un membro tende a rispecchiare quello dell’altro. Un interazione complementare si stabilisce per via di un certo contesto sociale culturale e non viene imposta in modo esplicito: ciascun soggetto si comporta in modo da presupporre il comportamento dell’altro, offrendogli al tempo stesso le ragioni perché tale asimmetria esiste e perduri nel tempo. La simmetria e la complementarietà svolgono funzioni importanti e sono necessarie nelle relazioni sane alternandosi operano in settori diversi; quando una delle due modalità si irrigidisce essa diventa potenzialmente patogena. La relazione simmetrica favorisce la competitività e può generare una escalation simmetrica, una vera e propria lotta di potere, mentre quella complementare con ruoli cristallizzati può portare un partner a soffocare la personalità dell’altro, dipendente emotivamente e intellettualmente da lui.
L’osservazione sistemica è volta a rilevare le dimensioni strutturali sintattiche e pragmatiche dell’interazione, spesso si avvale dell’uso di griglie predisposte. Bales, ad esempio, nell’Interaction Process Analysys ha previsto l’uso di una griglia di indicatori comportamentali osservabili, verbali e non verbali. Il sistema di codifica, con dodici categorie, comporta un basso grado di influenza per l’osservatore.
La teoria di Wtzlawick, Beavin e Jeckson è divenuta un punto di riferimento per l’evoluzione di un approccio sistemico, soprattutto rivolto alla psicoterapia familiare, in particolare, la tecnica introdotta da questi autori è nota come il nome di doppio legame terapeutico. Questi autori hanno definito la famiglia come un sistema di interazioni governato da regole: il terapeuta in quanto outsider è in grado di provocare quello che il sistema stesso non è in grado di fare, cioè un cambiamento delle proprio regole. Una tecnica efficace è la prescrizione del sintomo che trasforma il comportamento spontaneo, su cui di solito si ritiene di non poter far niente, perché fuori dalla propria volontà, in un comportamento intenzionale, in cui le persone accettano o meno di ubbidire alla prescrizione.